Le costruzioni romaniche dell’Alto Astigiano sono numerose. Si può dire che quasi tutti i paesi della zona, da Albugnano a Montafia, da Bagnasco a Castelnuovo, da Buttigliera ad Aramengo, a Mondonio, a Berzano, per ricordare soltanto alcune località della parte nord-occidentale, possiedono una o più chiese o cappelle, romaniche o gotiche, che se pur non raggiungono l’importanza di Santa Maria di Vezzolano, di San Secondo di Cortazzone, di San Lorenzo di Montiglio, di San Nazario di Montechiaro, presentano tuttavia un notevole interesse storico-artistico.
La chiesa romanica di San Martino di Castelvero, ora appartenente al comune di Piovà, è una delle più antiche della regione, sorta forse su un delubro pagano, col primo affermarsi del Cristianesimo in queste contrade. In origine la cappella dipendeva dalla chiesa di Vercelli, che teneva anche il potere temporale sulle terre dei dintorni e ne aveva infeudati diversi signori, tra cui i Radicati di Cocconato.
La chiesetta faceva parte della Pieve di Meirate e con essa, verso l’anno mille, fu tolta alla chiesa di Vercelli e assegnata alla diocesi di Asti, una delle più antiche. Nessuna sua notizia ci è stata tramandata dai documenti dell’archivio vescovile di Vercelli e da quello della parrocchia locale, mentre nelle carte superstiti del soppresso comune di Castelvero, si trova appena qualche accenno a delle riparazioni eseguite in tempi diversi e relativamente vicini. Sappiamo tuttavia che l’ufficiatura dell’antica chiesa di San Martino cessava nel 1810, e che nel 1835 veniva chiuso l’attiguo camposanto.
Attualmente restano i ruderi di una costruzione molto antica, forse dell’XI secolo, nella quale furono utilizzati materiali appartenenti a qualche edificio preesistente com’è dimostrato dai mattoni striati romani che vi affiorano. La sua pianta è un rettangolo di metri 6,75 di larghezza e di metri 11,99 di lunghezza, con due absidi semicircolari, coperte da volte emisferiche a semicatino romanico.
L’orientamento è quasi perfetto. La porta principale si apre a occidente: rettangolare, piuttosto piccola (m. 1,98 x 1,32) con stipiti in pietra senza ornamenti. A destra della porta si apre una piccola e bassa finestra anch’essa rettangolare Un’altra porticina, in seguito murata, con arco in cotto e chiave di pietra arenaria, era praticata nel fianco destro, dove in alto, esistevano altre due finestre simili a quella sopra ricordata. Nell’interno, davanti all’altare v’era la cripta, alla quale si scendeva con una scaletta di pochi gradini.
Solamente al disopra dell’altare, si osservavano tracce di decorazione a colori. Prima del crollo si scorgeva il panneggiamento del camice di un santo rozzamente dipinto a fresco. Forse v’era effigiato San Martino apostolo delle Gallie e vescovo di Tours, nato in Pannonia nel 317 e morto nel 400, che sappiamo essere cronologicamente il primo dei santi non martiri venerati dalla Chiesa. Sotto lo spesso intonaco appariva la decorazione primitiva, ottenuta con mattoni a tenui colori, contrapposti a dente di sega, tra fasce di altri grossi mattoni disposti per il lungo.
L’altare, a capitello piccolo e stretto, ricostruito con decorazioni a stucco, era appoggiato al muro divisorio delle absidi, le quali, col fianco settentrionale della chiesa, rappresentano la parte più interessante del vetusto edificio.
Guardata dall’interno, la volta senza intonaco dell’abside sinistra lascia chiaramente vedere che il semicatino è formato da blocchi di arenaria, dello spessore quasi uniforme di circa 20-25 centimetri, lavorati sul posto pezzo per pezzo, e messi in opera con pochissimo materiale cementizio, e da fasce interposte di mattoni.
La volta dell’abside destra, se non costruita con diverso materiale, ebbe forse una lavorazione meno accurata ed è andata in completa rovina. Dalla parte esterna i muri semicircolari non hanno lesene né intonaco, ed appaiono formati da blocchi, di varia grandezza, della solita arenaria, e da mattoni sottili, disposti a spina di pesce, con interposizione di fasce di pietra o di laterizio.
A differenza di quanto si osserva in San Pietro di Avigliana, in San Martino di Ciriè, in San Giorgio di Andezeno e in altre chiese romaniche piemontesi, che solitamente hanno un’abside ed una o due absidiole affiancate alla prima, qui abbiamo due absidi di uguali dimensioni, con uguali caratteri strutturali ed architettonici che le fanno ritenere coeve.
È a tutti noto che vi sono delle chiese con una o più absidi, semicircolari o poligonali, variamente disposte. Per lo più corrispondono alla testata della navata principale o delle navatelle. Talvolta, le absidiole sono perpendicolari all’asse, e formano le braccia di una croce che sembra preludere da lontano alle piante a croce greca delle chiese cupolate. Ma le chiese ad una sola navata con absidi gemelle, posta l’una accanto all’altra, sono rarissime. La chiesa romanica di S. Martino è forse, sotto questo aspetto, l’unico esempio rimasto nei nostri paesi.
Sembra che le absidi gemelle si possano ricollegare a forme architettoniche bizantine trasferite fra di noi all’epoca delle crociate. Probabilmente rispondevano alle esigenze del culto cristiano primitivo, così come l’orientamento levantino dell’altare e la disposizione delle finestre absidiali a doppia strombatura avevano lo scopo di fare in modo che i raggi del sole nascente cadessero sull’altare nel momento della consacrazione delle specie eucaristiche.